Tinnitus

  • 2022
  • di Gaetano Palermo
  • con Michele Petrosino
  • sound design Luca Gallio
  • 70'

Nessuna guida dice quanti anni avesse il ragazzo né quale sia stato il motivo della morte

A. Anedda

Tinnitus è il ritratto di una tensione verso l’inaudito e l’inaudibile, un’indagine della condizione umana e della sua gettatezza nell’esistente. Una rottura della temporalità lineare e con essa di ogni idea di salvezza. Una sospensione del gradiente di realtà che pone in questione il circostante, provocando un taglio al presente, desertificandolo.

Un corpo esile giace abbandonato a terra immobile e nulla ce n’è dato sapere. Solo un suono acuto simile ad un fischio lo accompagna. Nella lunga stasi di questo presente assoluto il fluire dell’esistenza è marcato dalla performance della sua negazione. In essa viene fatto inciampare lo spettatore, nella visione di una prossimità mortale che lo ri-guarda e che attraverso la sua inazione ne mette in luce la natura di soggetto agente. Improvvisamente però qualcosa accade. Il fischio insistente si trasforma nell’eco di un canto e un barlume di vita si insinua nel corpo del performer. In esso il sangue torna a fluire, sgorgando anche dalla sua bocca: non testimonianza di morte ma segno di vita. Il corpo, redivivo, si dilegua allora fuggendo, lasciandosi dietro solo qualche macchia rossa e le vesti sparse, dalle quali riprende a suonare forte il fischio, presidio inorganico di un’energia inafferrabile, acusmatica, che penetra la carne dei presenti anche dopo la scomparsa del corpo.

Nessuna guida dice quanti anni avesse il ragazzo né quale sia stato il motivo della morte

A. Anedda

Tinnitus è il ritratto di una tensione verso l’inaudito e l’inaudibile, un’indagine della condizione umana e della sua gettatezza nell’esistente. Una rottura della temporalità lineare e con essa di ogni idea di salvezza. Una sospensione del gradiente di realtà che pone in questione il circostante, provocando un taglio al presente, desertificandolo.

Un corpo esile giace abbandonato a terra immobile e nulla ce n’è dato sapere. Solo un suono acuto simile ad un fischio lo accompagna. Nella lunga stasi di questo presente assoluto il fluire dell’esistenza è marcato dalla performance della sua negazione. In essa viene fatto inciampare lo spettatore, nella visione di una prossimità mortale che lo ri-guarda e che attraverso la sua inazione ne mette in luce la natura di soggetto agente. Improvvisamente però qualcosa accade. Il fischio insistente si trasforma nell’eco di un canto e un barlume di vita si insinua nel corpo del performer. In esso il sangue torna a fluire, sgorgando anche dalla sua bocca: non testimonianza di morte ma segno di vita. Il corpo, redivivo, si dilegua allora fuggendo, lasciandosi dietro solo qualche macchia rossa e le vesti sparse, dalle quali riprende a suonare forte il fischio, presidio inorganico di un’energia inafferrabile, acusmatica, che penetra la carne dei presenti anche dopo la scomparsa del corpo.